lunedì 8 luglio 2019

Pausa caffè. Il romance. Storia di una discriminazione




Salve a tutti, sognatori.
Rispolvero questa rubrica che avevo ideato qualche anno fa, quando il blog era poco più che un diario delle mie letture. Mi scuserete se uso questo spazio per fare riflessioni personali, ma ritengo davvero necessario fare un po' il punto della situazione. Perché uno può essere tollerante, ma alla fin fine pure si stufa.
Sarà il caldo, sarà la vecchiaia o la menopausa precoce che mi induce a sbalzi d'umore, ma davvero non ne posso più di sentire le posizioni pseudo intellettuali di chi vuole buttare nell'angolo un genere come il romanzo rosa. Direte: ma a te che te ne frega? Scrivi e non ti curar di loro bla bla bla...
Potrei non curarmene, certo. Ma credo sia venuto il momento anche per me di difendere l'onore di questo genere letterario. Cosa che hanno fatto spesso anche le mie colleghe scrittrici e blogger, ma visto che repetita iuvant, e visto che la memoria umana è corta, desidero dare il mio umile ma appassionato contributo. Ovviamente sarò più che felice se mi vorrete dare una mano con fonti e documenti utili per avvalorare la mia teoria.
Vediamo un po'... partiamo dalla parola. Romance. Il termine è associato a quel genere brutto e cattivo del romanzo rosa. Vi giuro... sul tema ho letto roba allucinante. Tipo che non ci vuole niente a scriverne uno. Che le trame sono scontate così come lo sviluppo degli avvenimenti, che chi scrive rosa non approfondisce tematiche importanti o ha una visione della vita superficiale e troppo ottimistica...  potrei continuare, ma credo che le polemiche in merito siano ben note. Vero è che non tutti affrontano l'atto della scrittura con lo stesso grado di responsabilità, ma questo è un altro discorso. Il punto è: siamo proprio certi che il romanzo rosa sia roba da buttare o carta da usare per impacchettare i ninnoli durante un trasloco? Prima che mi parta l'embolo, facciamo ordine.

Romance. definizione tratta da Treccani on line (http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/ROMANCE/)

Romanza, componimento poetico spagnolo di carattere epico-lirico, in doppî ottonarî assonanzati, di cui è attestata l’esistenza già a metà del sec. 15°: sorto in Castiglia con carattere popolare, si estese poi dal sec. 15° a tutta la Spagna e anche al Portogallo in forme letterarie e con tematiche più varie ed elaborate.

Più avanti...

Romanza:  [dal fr. romance (femm.), che a sua volta è dallo spagn. romance(masch.) e dal provenz. romans, che risalgono all’avverbio lat. pop. *romanice«al modo dei Romani, in lingua latina»].



Ecco qui... tutte queste belle definizioni e un sacco di confusione in testa. Proviamo a dare un'interpretazione? Ovviamente non sono una studiosa né una ricercatrice, sarebbe d'uopo contattare un esperto di sociologia della letteratura, ma proviamo a tirare due somme, con la mente aperta alle correzioni di eventuali castronerie scritte (sono una misera appassionata).
Romance, pertanto, richiama il romanzo che, oltre a essere quella forma letteraria che tutti conosciamo e che si afferma, per come la conosciamo, tra Settecento e Ottocento, è anche u riferimento alla lingua romanza, cioè al romanice loqui, il latino popolare che si distacca dal latino classico.
E scusate se vi faccio sta pippa... ma voglio darmi un tono ☺.

Ciò detto, ne consegue che il romance non è altro che un romanzo, ossia una composizione in lingua del volgo, che si è progressivamente differenziata fino a diventare la nostra moderna lingua, a seconda della parte d'Europa che ci è toccata in sorte. E allora perché romance è sinonimo di sdolcinato?
Anche questo è da capire. L'aggettivo romantico indica, in letteratura, un movimento letterario che trattava svariati temi. L'amore per la patria, la tensione dell'Io verso qualcosa di indefinito, un senso di generale insoddisfazione dell'intellettuale che cerca di trovare posto in una società che sta mutando. E allora come siamo arrivati alla definizione di romantico come "sdolcinato, mieloso, da diabete"?
Anche qui ci viene incontro il vocabolario Treccani che dice questo:

fig. Con riferimento ai caratteri più appariscenti del romanticismo vero e proprio, si dice di chi è o si mostra incline alle suggestioni del sentimento e della fantasia più che a una concezione razionale e pratica della vita, o di chi è o si mostra di carattere appassionato e malinconicamente sognante


In pratica si può dire che hanno preso i caratteri più estremi del movimento letterario e li hanno condensati in una parola, che è andata a riassumere tutto l'ambito dei sentimenti irrazionali e nello specifico dell'amore irrazionale.
Arriviamo quindi a estendere a romance il significato (in negativo) di romantico.
Il bello è che mica è un crimine essere incline ai sentimenti più che alla ragione? Non lo è affatto, ma il sentimento è considerato prerogativa femminile, contrapposto alla razionalità maschile e quindi il patatrac dell'opinione pubblica: il romance è un genere, anzi un sottogenere, per sole donne, scritto da donne e con un valore letterario assai limitato.
Guardate i libri di letteratura: mai che sia dato adeguato spazio alle scrittrici. impariamo vita e poetica di autori che parlano di tutto, che ci conducono nei meandri della loro depressione, ma se lo fanno loro sono fini dicitori e indagatori dell'animo umano. Se lo fa una donna, invece, è solo in preda alla sindrome premestruale. 

Ma sto divagando...
Quello che voglio dire è....

Il romance è un romanzo.

Il romanzo è letteratura.

La letteratura è narrativa.


La narrativa è tutto ciò che riguarda la narrazione, quindi mi sembra davvero aberrante la distinzione tra narrativa di genere e non di genere. Soprattutto quando mi guardano dall'alto in basso. L'idea che leggere (o scrivere) letteratura di intrattenimento sia peccato mortale mi fa davvero arrabbiare. E non c'è la scusante della ripetitività della trama. Il romanzo si basa su elementi comuni e che affondano le loro origini nelle funzioni di Propp (suggerisco la lettura di Morfologia della fiaba). C'è qualcosa di infinitamente rassicurante nello schema tipico del romance (e delal letteratura di intrattenimento in generale). Il lettore arriva a una forma di catarsi attraversando tutte le fasi della storia: dall'esordio, all'impedimento, all'intreccio più o meno articolato, al climax che mette per un attimo in discussione il lieto fine (lieto fine che è certo, ma il lettore sospende l'incredulità quindi si immedesima negli avvenimenti), fino allo scioglimento, a volte con elementi che suscitano una certa sorpresa. Non per dire... ma anche Manzoni scrive un romanzo con uno schema simile, quindi non capisco le remore odierne.

Un libro ha più livelli di lettura. Il livello superficiale è la storia tout court. Il lettore non si sofferma tanto sui significati reconditi, ma solo sul dipanarsi dell'intreccio. Anche la storia più semplice, però, ha un messaggio da trasmettere. Può essere più o meno profondo, ma c'è. E poi c'è quel rapporto speciale che si crea tra libro e lettore che instaura altri livelli di lettura, del tutto personali. Pirandello diceva che una volta lasciata andare un'opera essa non è più del tutto tua, perché vive e si sviluppa in maniera diversa a seconda delle persone che ci vengono in contatto. Si riferiva, nello specifico, alle opere teatrali, ma ritengo che la sua idea possa essere estesa anche ai romanzi.

In definitiva scusatemi tanto, ma ribadisco con forza la dignità del romanzo rosa. E del romanzo giallo. E del thriller. E anche del pippone pseudointellettuale che non si capisce a che genere ricondurre. Ognuno scrive e legge ciò che vuole. Nessuno è superiore a un altro.

Grazie per l'attenzione.

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