lunedì 4 febbraio 2019

Segnalazione: L'isola di Corentin di Cristiano Pedrini

Titolo: L'isola di Corentin
Autore: Cristiano Pedrini
Genere: Narrativa / M/M
Editore: selfpublishing
Numero di pagine: 174
Formato: ebook e cartaceo
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Trama

Corentin ha la sua isola, quel luogo sicuro nel quale si protegge dal mondo, dove non lascia entrare nessuno. Scrive romanzi e sogna un grande domani, che tarda ad arrivare, visto il suo straziante passato e il suo faticoso presente. Le sue giornate trascorrono tra il Monet Verde, la libreria galleggiante sulla Senna, lasciata in eredità dal nonno e il suo girovagare per le vie di Parigi. Corentin, seppur abbia la forza di superare e osare, è chiuso nel suo mondo, nella sua isola fino all'incontro con Flavie, un noto pittore che lo aiuterà a uscire allo scoperto e a osare rimettendo in discussione ciò che vuole mostrare di sé agli altri. La vita, l'amore, l'arte, la cornice romantica Parigina, i sogni e le speranze…Tutto sarà trascinato dalla ruota di un destino che porterà i due a riscoprire se stessi, mostrando la bellezza delicata di quei giorni che sembrano scaturire dalle pagine di una fiaba tinta dai colori della speranza.

Estratto
 
CAPITOLO SECONDO
L’antro del mio peggior nemico

La voce dell’anziana donna risvegliò Corentin dal lungo flashback delle sue ultime disavventure.
«Il maestro Cossé può riceverla.»
Sollevò il capo vedendola immobile accanto alla porta socchiusa.
«Avanti, si accomodi» aggiunse con un eloquente cenno della mano.
Il ragazzo si limitò ad annuire, rialzandosi e avvicinandosi fino a sentire il profumo di vaniglia che emanavano i suoi vestiti, lo stesso che aveva anche sua nonna e che quando era piccolo sentiva ogni volta che le saliva in braccio per farsi coccolare dopo aver combinato una marachella. Un aroma che aveva imparato a riconoscere ed amare e per la verità spesso combinava qualche guaio di proposito solo per starsene tra le sue braccia. Se n’era andata molti anni fa, lasciando suo nonno Marcel solo in quella grande città.
«Ha cambiato idea?» gli domandò la donna.
«No, affatto» rispose prontamente, decidendosi a varcare la soglia della stanza.
«Il maestro arriverà tra poco. Rimanga qui» gli raccomandò chiudendo con delicatezza la porta alle sue spalle.
«Bene, Corentin, un’altra attesa» mormorò incamminandosi al centro della grande stanza illuminata da ampie vetrate che si aprivano sulla parete di fronte.
Il pavimento, ricoperto da un parquet chiaro in parte consumato, il soffitto a volta, che contribuiva a rendere quell’ambiente un atelier dove la luce naturale era la regina incontrastata, coronando ogni oggetto di una particolare intensità. Attorno a lui c’erano diversi cavalletti dove erano posate delle tele coperte da lunghi drappi di diverso colore, ma c’era un particolare che le rendeva simili a delle comparse.
Corentin aveva notato che tutte erano disposte attorno a un cavalletto molto più grande e vuoto, posizionato dinanzi a una pedana e di forma circolare coperta da una stoffa simile a seta, di colore nero. Si avvicinò osservando quello che dall’alto poteva apparire come un grande opale che risaltava in quell’ambiente così luminoso.
Accanto al cavalletto stava un mobile, basso e alquanto malmesso, sul cui ripiano erano riposti, in modo disordinato ogni sorta di pennelli, tubetti di tempera e straccetti imbrattati di arcobaleni di colori. Corentin si chinò sul mobiletto scrutandolo con attenzione prima di decidersi a spostare un lembo di stoffa. Lo sollevò notando la tavolozza nascosta sotto di esso.
La toccò timidamente con la punta del dito, ritraendolo subito come se corresse il rischio di essere azzannato, ma i suoi timori scomparvero non appena la prese tra le mani osservandola con attenzione.
I suoi occhi scivolarono sulla moltitudine di pennelli fino a che si decise a prenderne uno, molto sottile e con l’impugnatura di legno nero. Si voltò verso il cavalletto vuoto e iniziò a muovere la mano, come se stesse dipingendo. Posò infinite volte la punta del pennello per poi proseguire in quel gioco immaginario fino a che una voce, a lui del tutto sconosciuta, lo paralizzò.
«Le persone curiose spesso sono le più prevedibili.»
Corentin sbatté contro il tavolinetto facendo cadere a terra tutto quello che vi era riposto sentendosi mancare, ma non ebbe il tempo di maledire la sua cattiva stella; s’inginocchiò rapidamente, sbattendo le ginocchia contro il pavimento, raccogliendo poi pennelli e tubetti sotto lo sguardo impassibile dell’uomo che cinse le braccia al petto scuotendo il capo.
Lo sguardo insofferente dello sconosciuto che aveva di fronte, racchiuso in quel volto tondo, scavato da profonde occhiaie che si notavano dietro quelle piccole lenti rettangolari, mise il ragazzo in apprensione mentre tratteneva con scarsi risultati una smorfia di sofferenza per le ginocchia doloranti.
«Il maestro Cossè?» chiese Corentin vincendo la sua ansia.
«Di solito non permetto a nessuno di toccare i miei strumenti di lavoro» si sentì rispondere.
«Forse dovrebbe preoccuparsi di ripulirli» si lasciò scappare Corentin osservandosi le mani sporche di pittura.
«Sul terzo ripiano c’è del diluente. Pulisciti con quello» gli rispose Flavie, avvicinandosi a una scrivania che occupava un angolo della stanza spostando una pila di buste, gettandole in una cassa di cartone accanto al mobile.
«Come ti chiami?»
«Corentin» rispose lui, terminando di ripulirsi il palmo delle mani con uno straccio.
«Età?» chiese di nuovo senza neppure guardarlo, intento a rimettere in ordine quello che era disseminato sul piano della scrivania.
«Diciannove» rispose, cercando di mascherare la smorfia dopo aver annusato le mani che ora puzzavano come non mai. 

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