titolo: Tenebra Lux
autore: Alessandro del Gaudio
editore: Leucotea
Tenebra Lux è la storia di un viaggio in un mondo insolito, visionario, popolato da personaggi curiosi e inquietanti, compiuto dal giovane Leonardo. Fumettista di professione, Leonardo – da tutti soprannominato Ruffo per i suoi capelli – si trova improvvisamente proiettato in una città in tutto simile a quella in cui vive, ma completamente avvolta nell’ombra. Armato di un’incrollabile speranza e di una torcia che non smette mai di ardere per sottrarlo all’oscurità che lo circonda, il protagonista scopre di non ricordare niente del suo passato e che non tutti coloro che incontra sul suo cammino agiscono in suo favore. Ma ognuno sembra fornirgli indizi per scoprire chi è e cosa gli è successo. In particolare, un mistero sembra essere al centro della vicenda, il disegno di una ragazza che Leonardo sembra avere già visto senza ricordare dove. Il destino di molte persone sembra essere legato al suo, soprattutto quello di due guerrieri, un uomo e una donna, che intervengono in aiuto del ragazzo e lo salvano dalle grinfie del malvagio Pakinopah, il clown col cilindro che tormenta i sogni di Ruffo e cerca di ostacolarlo nel ritrovamento della strada per tornare a casa.
Il libro è strutturato in quattro capitoli, Crepuscolo, Notte, Alba e Giorno, e comincia illustrando la vita di Leonardo e il suo rapporto con il suo lavoro e l’enigmatica Alice, una ragazza che ha ospitato in casa sua dopo averla soccorsa in strada. Dal secondo capitolo, Notte, comincia il viaggio nella città oscura, per chiudersi con il terzo e rivelare nel quarto, Giorno, la soluzione del mistero.
estratto
Quando la musica di quel flauto era risuonata nella piazza, Leonardo aveva di scatto alzato la testa e aveva visto un uomo sbucare da una strada laterale. Il musicista era vestito con pantaloni sdruciti e camicia a scacchi. Ruffo l’aveva seguito senza batter ciglio, dimenticando la prudenza, scordandosi dei suoi amici, desideroso solo di conoscere l’identità di quel suonatore.
La sua musica conferiva a quelle strade regolari e deserte l’aspetto di corridoi arcani aperti verso l’ignoto, tracciati da entità ataviche. Solo il suono di quel flauto poteva guidare chi vi si avventurava, per condurlo al cospetto di creature divine.
Leonardo non aveva paura, provava delizia e pace, sapeva che la destinazione di quel cammino era un luogo dove non avrebbe più avvertito la fatica e il dolore. Era forse questo il senso del suo viaggio? Era forse per raggiungere la dimora degli dei che aveva camminato tanto?
Non riusciva a sentire le sue gambe, come se sotto i suoi piedi scorresse un tappeto mobile. La teoria di facciate eleganti e austere scorreva sotto i suoi occhi come il paesaggio visto da un finestrino.
Poi tutto si fermò. La musica tacque, il suonatore rallentò il passo e infine smise di camminare.
In fondo alla strada c’era un arco, oltre il quale si agitava un turbine di luce.
Era il portale verso un’altra sfera d’esistenza.
Il suonatore si voltò e per la prima volta Leonardo poté guardarlo in viso. Era un ragazzino dagli occhi dorati. Nelle sue pupille si agitava un fuoco abbagliante, lo stesso che vorticava oltre l’arco.
Il ragazzo non parlò, si limitò a guardarlo come se attendesse la risposta a una domanda mai posta.
Poi Leonardo comprese. Sicuramente il suonatore si stava chiedendo se l’avrebbe seguito. La sua musica ammaliante non aveva nessun potere in quel punto, la scelta spettava solo a lui. Se Leonardo avesse attraversato quel portale, l’avrebbe fatto di sua spontanea volontà.
Poi comparve Ginz. Questa volta non era da solo. Ad accompagnarlo c’erano un grosso lupo dal pelo folto e un uomo gigantesco dalla pelle scura, ricoperta da simboli indecifrabili.
Ginz e il suonatore si guardarono. Si conoscevano e sapevano che non spettava a loro determinare l’esito di quella scelta.
Ginz era cambiato al punto che per un attimo Leonardo aveva creduto di essere di fronte a un altro rappresentante della sua specie. Ma Ginz era unico, non c’erano altri come lui in quel mondo.
Il suo amico non disse niente, non proferì consiglio. Si sedette a gambe incrociate davanti al lupo, il capo abbandonato nel suo pelo morbido, e attese.
Ruffo sapeva che avrebbe dovuto fare una scelta. Se l’avesse desiderato il musicista l’avrebbe riportato dai suoi amici. Se avesse scelto di attraversare l’arco, invece, non ci sarebbe stato più ritorno.
Si voltò. La strada rettilinea si inoltrava nella teoria di palazzi nobiliari senza che se ne vedesse la fine. Più lontano torreggiavano casermoni di cemento e vetro, ma della piazza coi portici non c’era più traccia.
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